Giulio Romano e l'opera sconosciuta del 1513

Per la prima volta vengo autorizzato dalla collezione a pubblicare l'immagine del sontuoso, sconosciuto dipinto "Fuga in Egitto", olio su tela cm. 122x146, in fase di studio: mi trovo d'accordo soprattutto da quanto sta emergendo.
"Con la presente io sottoscritta ......... proprietaria del dipinto su tela "fuga in Egitto" Dimensioni  L. 146 x H 122 autorizzo lo studioso Buso Luciano a pubblicare le immagini del medesimo per intero. Cordiali saluti"
La storia dell'opera è alquanto travagliata: presa in analisi dallo Studio Palladio di Vicenza e da alcuni storici in passato, è rimasto sino ad ora sconosciuto, tra gli storici intervenuti vi è chi ha sentenziato essere opera fiamminga facendo oltretutto il nome di un autore nordico. Di fatto il dipinto è rimasto sinora condannato a rimanere appeso alla parete senza paternità e datazione. Trascorre il tempo e i genitori invecchiano, le figlie venute a conoscenza del metodo Buso si sono a me rivolte chiedendomi di analizzarlo ed ecco: esso è opera certa di Giulio Romano (Jvlivs Romanvs), eseguito nel 1513.
In quest'anno Raffaello Sanzio, suo amico e maestro, era in vita e molto operoso, i due erano molto vicini, non è casuale che io ravvisi tra le pieghe della pittura le sigle del Maestro Vrbinate (saranno messe in luce nel dossier di ricerca). Alla morte di Raffaello, avvenuta nel 1520, Giulio Romano ne eredita la bottega.

Quarta immagine:

Quando la ricerca scientifica con il metodo Buso si fa acuta.

Giulio Romano, (1492-1546)-Discepolo di Raffaello.
"Fuga in Egitto" 1513 (Ad oggi sconosciuto)
olio su tela cm. 146x122
collezione privata

Il documento è tra i più risolutori di una tecnica disvelata.
Il particolare dell'opera è grande, misura cm. 40x40, così va visto e letto, meglio se in alta definizione, rappresenta il fusto dell'albero sulla sinistra dell'opera sconosciuta "Fuga in Egitto", in questo caso ruotato di 180° per meglio cogliere, al dritto, quanto il giovane Giulio Romano ebbe a semi celare in presenza del suo maestro Raffaello nella bottega, durante l'esecuzione avvenuta nel 1513. Non è poco se si tiene conto del bel ritratto semi celato nel ramo tagliato del fusto dell'albero: esso ha molta somiglianza con il volto di Raffaello, rappresentato alle spalle di Giulio Romano nello storico dipinto, (qui inserito sul lato sinistro). La storia tramanda molte notizie a riguardo del rapporto lavorativo e umano tra i due. Non è quindi casuale, come spesso avviene e avveniva, che il maestro sostenga l'opera di un allievo mettendoci le mani: compaiono infatti semi celate nell'opera del Romano, anche le firme e le sigle di Raffaello Sanzio.
Un frammento di storia su Giulio Romano:
"...Giulio Pippi de' Jannuzzi, o Giannuzzi, detto Giulio Romano (Roma, 1492 o 1499[1] – Mantova, 1º novembre 1546), è stato un pittore e architetto italiano, importante e versatile personalità del Rinascimento e del Manierismo. Fu un artista completo come era normale per un artista di corte che doveva occuparsi di ogni aspetto legato alla residenza e alla vita di rappresentanza del proprio signore dovendo anche fornire modelli grafici per arazzi, opere scultoree e oggetti in argento,[2] coordinando collaboratori e artigiani.
Non è nota la data di nascita, ma nell'atto di morte del 1546 gli si attribuisce un'età di 46 anni; pertanto si è ritenuto fosse nato intorno al 1499 nell'Urbe. Tuttavia Vasari, che lo conosceva personalmente, lo dice morto a 54 anni, anticipandone quindi la nascita intorno al 1492, più consona all'inizio della collaborazione con Raffaello intorno al 1515.[3] Nato da padre commerciante, crebbe in una condizione familiare agiata. La dimora paterna di Giulio sorgeva in via Macel de' Corvi, vicino alla casa di Michelangelo, nei paraggi del Foro Romano e di piazza del Campidoglio, nell'area dove oggi sorge l'Altare della Patria.
Roma[modifica | modifica wikitesto]
Fin da giovane fu l'allievo più dotato[4] e uno tra i principali collaboratori di Raffaello Sanzio all'interno dell'affollata bottega. Collaborò con il maestro nelle sue grandi imprese pittoriche come gli affreschi della villa Farnesina, delle Logge e delle Stanze Vaticane. Già nel 1513-1514 la mano di Giulio è riconoscibile in alcuni affreschi eseguiti da Raffaello nella Stanza dell'Incendio di Borgo quali l'Incendio di Borgo, in particolare nelle erme a monocromo incoronate da foglie di alloro che reggono il cartiglio sopra il capo degli imperatori, affrescate nel prospetto inferiore delle pareti. Nel periodo intorno al 1518 sono documentati i suoi primi disegni di architettura, in particolare di studi di angoli per il Palazzo Branconio dell'Aquila che Raffaello progettò per farne dono a un amico lasciando allo stesso Giulio la piena libertà nella creazione del cortile interno.
Dati i complessi rapporti stilistici all'interno della bottega, non risulta facile distinguere gli apporti personali di Giulio Romano in tali opere, tanto che esiste un corpus di dipinti e disegni di discussa attribuzione tra lui e Raffaello, tra cui, per esempio, il Ritratto di Dona Isabel de Requesens. In altre opere di Raffaello, la critica ha riconosciuto la mano di Giulio Romano nei particolari di ambientazione.
Alla prematura morte di Raffaello nel 1520 ne ereditò, per testamento, la bottega e le commissioni già avviate, assieme al collega Giovan Francesco Penni con il quale collaborò a lungo. In tale periodo si occupò di coordinare gli affreschi di Villa Madama e di completare la sala di Costantino nelle stanze Vaticane, in cui gli viene riconosciuta l'esecuzione di alcune scene come la Visione della croce e la battaglia di ponte Milvio (1520-1524).
Come narra il Vasari, tra i suoi viaggi di lavoro e culturali visitò Pozzuoli, Napoli e Campagna nel regno di Napoli, al seguito di dignitari pontifici originari di quella terra (tra questi, Melchiorre Guerriero), ma poté contemporaneamente attingere ai modelli classici della cultura greca e latina da cui fu molto influenzato.[5] E proprio a Campagna (la Civitas, che definì come "una delle bellezze antiche") ebbe l'incarico di ri-disegnarla nell'urbanistica, da Melchiorre Guerriero (natio di quella città), figura potente nella curia vescovile romana[senza fonte].
Dopo aver collaborato ai progetti di Raffaello (per esempio al cortile del Palazzo Branconio dell'Aquila), i suoi primi autonomi progetti di architettura furono a Roma: il palazzo Adimari Salviati (dal 1520), la Villa Lante sul Gianicolo per Baldassarre Turini da Pescia (1518-1527) e il Palazzo Maccarani Stati (1521-1524).
Fu invitato, come artista di corte, a Mantova da Federico II Gonzaga, a cui era stato indicato fin dal 1521 da Baldassarre Castiglione, letterato e suo ambasciatore a Roma. Nonostante la prestigiosa carriera avviata a Roma, accettò l'invito dopo lunghe insistenze e dopo aver completato i lavori lasciati incompiuti da Raffaello, per raggiungere la città lombarda nel 1524.[6]
Tra l’altro, Giulio Romano aveva già una “sua” strada, ben prima che il suo nome comparisse nel Quartiere Flaminio: era un tratto di Via Macel de’ Corvi, non distante da Palazzetto Venezia, e gli era stata dedicata perché su quel tratto di strada c’era la sua casa, che purtroppo venne demolita per la costruzione del monumento di Vittorio Emanuele II, assieme alla lapide commemorativa posta appena pochi anni prima dal Comune di Roma: “Il Principe dei discepoli di Raffaello /Giulio Pippi detto Giulio Romano / in questa casa del padre / nasceva l’anno 1492 / SPQR 1872”. Trascurando l’inesatto anno di nascita, oggi quasi unanimemente considerato il 1499, l’abbattimento della casa e della lapide significò la cancellazione della memoria di Giulio Romano dalla sua città natale..."

Immagini 5, 6 e 7
Sempre la rotazione del quadro è servita agli artisti per apporre, in ogni opera eseguita, le loro firme e date segrete.
In questo caso Giulio Romano, vicinissimo a Raffaello, bene imparò questa tecnica antica usata al tempo da Giotto di Bondone e tutti gli altri artisti vissuti prima e dopo di lui. Questo logo fu ben congegnato per non essere visto dallo sguardo fugace del visitatore, solo gli addetti ai lavori erano in grado casomai di leggerlo e, se pensiamo che ad oggi l'opera è sconosciuta, questi addetti, soprattutto nel Novecento, avevano gli occhi bendati. Colpa del 'velocismo moderno' intervenuto? Forse! Di certo il dipinto incontra oggi la moderna scienza, terminando così di stare appeso alla parete senza alcuna paternità e datazione.